Giovedì 21 aprile, alle 9, si è tenuto il terzo appuntamento con i laboratori di etnopsichiatria, con la collaborazione del Centro Studi Sagara

Qui di seguito i “take-home messages”, una sintesi dei concetti emersi durante l’incontro di formazione:

  • Ci sono corpi che hanno vissuto cose indicibili, corpi che non possono parlare.
  • I traumi vissuti modificano non solo i corpi, modificano le persone anche interiormente.
  • Mediazione etnoclinica:
    Il punto non è parlare l’italiano,  ma comprendere il senso delle parole delle domande portate.
    Il mediatore etnoclinico deve smontare le parole in tutte le direzioni, tra tutti gli attori coinvolti.
    Il mediatore etnoclinico deve portare il terapeuta nel mondo del paziente senza generalizzare perché ogni paziente è diverso. È un continuo lavoro che prevede lo smontare e il rimontare per creare un terreno di fiducia reciproca.
  • Il diverso fa paura. Il mediatore stesso è un professionista, ma formato ad una formazione diversa è può fare paura, è diverso dalle altre professioni più conosciute.
  • Per quanto io terapeuta italiana possa conoscere un’altra cultura, non posso farlo a fondo, sono fatta di un’altra pasta.
  • Come facciamo a conoscerci reciprocamente (paziente è terapeuta) se manca il riflesso, ovvero il mediatore.
  • Trauma migratorio: non credo che chi sta bene pensi sto bene e lascio tutto. Credo che chi parta lo faccia per migliorare la sua vita. Si viaggia per migliorare, per scoprire.

Le slide e la registrazione sono disponibili per i e le partecipanti nell’area riservata (accessibile con pw inviata agli iscritti al corso)

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